La “musica” di Riccardo Prevosti ha  radice in un cuore sepolto che seguita a battere, che freme dietro il sipario di stanze e orizzonti artificiali, figure e simboli trasfigurati in una sorta di ascetico distacco terreno.
L’artista Riccardo Prevosti in una delle inaugurazioni alla Galleria ab/arte di Brescia di cui è consulente per la calcografia.

Carlo Della Valle, Brescia 1992

 

La “musica” che ha radice in un cuore sepolto

 

Mi sono domandato spesso quale sarebbe stato il destino di Riccardo Prevosti se il seme dell’Incisione non avesse attecchito in lui sino a trasformarsi gradualmente in un’autentica ragione di vita. E le mie congetture sono fatalmente approdate a un’ipotesi che, per quanto suggestiva e forse frutto di un estremo esercizio logico, non cessa di incuriosirmi.

Vorrei parlare, è questo il punto, di un Prevosti “compositore” che giunge ai miei occhi insieme al chiarore della sua cristallina fantasia immaginifica, scatenando emozioni che rimandano inequivocabilmente alla musica.

Le sue opere, nel discreto eludere facili etichette, mi sono sempre apparse come rarefazioni di pensiero che solo le circostanze e l’intenzione del loro autore hanno voluto destinate allo sguardo piuttosto che all’udito.

Ma non è sul piano delle possibili relazioni tra suono e colore che voglio soffermarmi, né dilungarmi sui molti aspetti procedurali che, insospettabilmente e riferiti ai rispettivi ambiti, la pratica calcografica divide la composizione musicale. C’è dell’altro.

La nascita di un’idea, la sua definizione, l’insieme di somme e sottrazioni di materiale che si riflettono sui volumi e sull’economia generale dei risultati, le prove tecniche con il loro rosario di interiori rovelli  e sofferte decisioni, tutto ciò è meravigliosamente contiguo all’atto della creazione musicale e, nello stesso tempo, sarebbe un vuoto teorizzare se non si svelasse, negli esiti dell’incisore, una tensione in cui il lirismo è carattere predominante. Ma non basta.

E’ nella sostanza onirica delle visioni che altre affinità si palesano. Là dove queste immagini, sorelle della musica, germinano dal silenzio, sopravvivendo agli enigmi che esse stesse producono, esplorando regioni dello spazio e del tempo in cui l’incognita consiste nel suggerirci pudicamente che esiste un “oltre” e un  “dopo”. Ancora, sprofondando sogni di metallo, carta e inchiostri negli specchi di un evo misterioso, quello del tempo sospeso e del silenzio prima agognato, poi conquistato.

La “musica” di Riccardo Prevosti ha  radice in un cuore sepolto che seguita a battere, che freme dietro il sipario di stanze e orizzonti artificiali, figure e simboli trasfigurati in una sorta di ascetico distacco terreno.

Ascoltando il suo “canto” restiamo abbacinati di fronte a composizioni in cui l’emozione del vivere sembra condannata a una eterna attesa, nel tentativo disperato di perpetuare illusioni, di sigillare ricordi. E non c’è verbosità alcuna in questo mondo espressivo, dove al facile criterio dell’estensività viene sostituito quello, molto più coraggioso della concisione quasi aforistica.

Abbastanza ovvio, a questo punto, richiamare alla memoria le atmosfere di un musicista antiretorico per eccellenza come Anton Webern, o le altrettanto decantate prospettive sonore dell’ultimo Debussy, prive d’ogni residuo “impressionismo”. Ma ben oltre queste “collisioni”, resta lo stile prosciugato da inutili orpelli, un pensiero in cui allignano moventi spirituali e meditazioni sull’ “infinitamente piccolo” che governano tanto l’universo quanto ogni nostro singolo respiro.

Nulla di più estraneo al vuoto fragore mondano, nulla di più prossimo alla shonberghiana “melodia di timbri” e alla filosofia che restituisce finalmente dignità e valore alla solitudine.

Riccardo Prevosti

L’artista Riccardo Prevosti

in una delle inaugurazioni alla Galleria ab/arte di Brescia

di cui è consulente per la calcografia.

 

Foto di Fabio Anselmini, VisualEvent, Brescia